Sulla scia degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 - tra cui la sostenibilità alimentare e la realizzazione di sistemi di consumo e produzione responsabili - sono fiorite negli ultimi anni moltissime imprese che propongono delle alternative a minor impatto ambientale rispetto ai sistemi produttivi tradizionali.
Nel settore del food sono sempre di più le startup che puntano a trovare una soluzione al problema della dipendenza dalle proteine animali e all’elevata impronta di carbonio prodotta dagli allevamenti intensivi, sollevando non poche controversie a livello internazionale.
Quel che è certo è che non sono soltanto i giovani e intraprendenti imprenditori a vedere un futuro nella carne plant-based e in quella sintetica - vedi Novameat, la startup spagnola guidata da un italiano che lancerà sul mercato una bistecca a base vegetale stampata in 3D - ma anche i Big Food.
I colossi del settore, che hanno creato dei veri e propri imperi basati sulle proteine animali, hanno iniziato a investire e acquisire piccole realtà all’avanguardia nella produzione di carne alternativa.
In tutto il mondo, ricercatrici e ricercatori si dedicano allo studio di questo tipo di prodotti e al superamento di quegli ostacoli che ne impediscono una diffusione più ampia tra i consumatori.
Anche il mondo accademico italiano ha un occhio rivolto a questo trend. Due esempi sono le proposte del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie e Alimentari dell’Università di Firenze e il Master in Arti e Scienze culinarie e di Giornalismo Enogastronomico dell’Ateneo IUL.
Vista la crescita del mercato dei sostituti animali - dai 4,2 miliardi del 2020 ai 28 miliardi stimati per il 2025 - è plausibile che la fake meat, che già è approdata sulle nostre tavole, prenderà ancor più campo non soltanto tra vegani e vegetariani.
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