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Non una di meno: la violenza deve finire
Non una di meno: la violenza deve finire
Data pubblicazione: 25 novembre 2021
103. Sono 103 le donne morte per femminicidio in Italia nel 2021... fino a ora. 103 persone, 103 sofferenze inascoltate, 103 storie. Nella Giornata del 25 novembre, è importante raccontare le profonde e complesse disparità culturali e sociali che causano, giustificano e alimentano la violenza contro le donne. Perché fare del male è uccidere, ma non solo: è picchiare, è spaventare, è umiliare. È causare ferite nel corpo, nella mente e nell’anima.
Volontariato e Sociale - Eventi
“Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal”
Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal sono state combattenti e tra le prime sostenitrici del movimento democratico 14 giugno, che in Repubblica Dominicana combatteva il regime violento del generale Trujillo. Negli anni 50/60, le sorelle Mirabal si impegnarono nella lotta sociale e armata contro il dittatore, e tra i rivoluzionari erano note come Las Mariposas (Le farfalle). Il 25 novembre 1960, le tre donne furono sequestrate dai militari del generale, e vennero torturate, stuprate e uccise.L’ONU, nel 1999, ha istituito la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, scegliendo proprio tale data come simbolo universale della lotta.
Sono passati più di 20 anni da quando è stato avviato il percorso che solleva l’attenzione sulla violenza di genere, ma il lavoro da fare è ancora molto impegnativo. Le attiviste in zone di guerra o in Paesi sotto dittatura rischiano la vita ogni giorno. Solo poche settimane fa, Frozan Safi, attivista e docente universitaria afghana di 29 anni, è stata trucidata, insieme ad altre quattro donne, dai talebani.
Ma il problema della violenza contro le donne, purtroppo, non riguarda solo casi così estremi. In Italia, dall’inizio del 2021 a novembre, sono state 103 le vittime di femminicidio (dati Ministero dell’Interno). Ben 93 di questi omicidi sono avvenuti per mano di familiari, ex fidanzati o compagni delle donne uccise.
Il femminicidio è un tipo di omicidio che indica sia la vittima che il movente dell’assassino: l’essere donna. Questo gesto, spesso raccontato impropriamente dai media come “raptus di follia”, o motivato da “troppo amore”, è in realtà l’ultimo atto di una catena di violenze, vessazioni e intimidazioni subite per lungo tempo dalle vittime, e perpetuate altrettanto a lungo, e lucidamente, dai carnefici.
Le forme di violenza sono tante, e acquisiscono varie sembianze: esistono violenze psicologiche ed emotive feroci ma sottili, spesso non tutelate dalla legge vigente, e percepite culturalmente come “normali litigi di coppia”, o “sfuriate di gelosia”. Ma la verità è che molte donne, sia giovani che adulte, vengono vessate con manipolazioni che le privano di ogni autostima, fino a renderle inermi e isolate. Le vittime di abuso vengono spesso allontanate dagli affetti e dalla rete di amici che potrebbero aiutarle a uscire da una situazione di maltrattamenti. Ci sono piccoli segnali che possono essere importanti campanelli d’allarme: un controllo ossessivo dei tuoi contatti, una gelosia morbosa verso amici e amiche, un progressivo isolamento. (Se vuoi approfondire l’argomento, lo scorso ottobre, è uscita su Netflix la serie Maid, ispirata a una storia vera, che riguarda le relazioni tossiche e la violenza emotiva.)
Nei casi di violenza psicologica soprattutto su persone adulte c’è spesso, inoltre, la coercizione economica: le donne vittime di violenze non lavorano, sono costrette in casa dal loro compagno o marito, e dunque non hanno un'indipendenza economica che consenta loro di avere una scelta. Sono schiave, e prigioniere. Per questo, è molto importante ridurre il gender gap e le diseguaglianze in termini di occupazione femminile, per porre fine a molti scenari di violenza.
Esistono poi gli stupri, le diffamazioni, gli insulti, il catcalling, le molestie nei luoghi di lavoro e di studio: le donne sono oggetto di violenza in tutte le sfere della vita. Ribellarsi è difficile, e quando si ha il coraggio di parlare, lasciare, denunciare, spesso ci si trova davanti al fenomeno del victim blaming, ovvero di colpevolizzazione della vittima: “la gonna era troppo corta”, “avevi bevuto”, “però all’inizio hai detto sì”, “se dai confidenza sai ciò che può succedere”. Il victim blaming è chiaramente un’altra forma di violenza contro le donne.
Inoltre, in caso di ribellione, è sempre più frequente, soprattutto tra le generazioni più giovani, il ricorso ad armi di vendetta digitali. Il revenge porn, ovvero la diffusione non consensuale di materiale pornografico (e nel caso di minori, pedopornografico) è una di queste forme. Una foto intima scambiata con il fidanzato, o un video filmato contro la tua volontà vengono condivisi senza il tuo consenso. Il revenge porn, la cui vittima esemplare è stata Tiziana Cantone, è un’invasione della tua sfera più privata, portata sotto gli occhi di tutti, ed equivale a:
- uno stupro, per via dell’abuso riguardante il tuo corpo
- un’umiliazione pubblica, poiché porta alla riconoscibilità e alla perdita di reputazione e stima
- un forte trauma psicologico, come quelli causati dai furti in casa, e dai tradimenti della persona amata.
Nonostante le attività di sensibilizzazione, il revenge porn e l’hackeraggio dei profili e dei dispositivi sono dei fenomeni in aumento. Se sei vittima di revenge porn, o conosci chi ha subito questo reato, rivolgiti all’associazione PermessoNegato.
Responsabilità collettiva
Il 25 novembre 2021 è anche il giorno in cui partirà la 30esima End Femicide, campagna mondiale di 16 giorni creata dal Centro per la leadership globale delle donne.Quest’anno, i tavoli di discussione si concentrano sui femminicidi e sulla violenza di genere, sia in ambito domestico che sui luoghi di lavoro (al centro la Convenzione C190 approvata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro).
Un mondo senza violenza è possibile solo con un’azione comune di tutti gli individui. Perché la colpa è di chi compie i crimini, ma la responsabilità è collettiva, nessuno escluso.
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